LOCAZIONE - USO NON ABITATIVO -RESPONSABILITA' LOCATORE - Cass. civ. Sez. III Sent., 20-08-2018, n. 20796

LOCAZIONE - USO NON ABITATIVO -RESPONSABILITA' LOCATORE - Cass. civ. Sez. III Sent., 20-08-2018, n. 20796

In materia di locazione ad uso non abitativo, il mancato ottenimento, da parte del conduttore, dei titoli amministrativi abilitativi necessari allo svolgimento dell'attività imprenditoriale convenuta non determina la nullità del contratto per difetto di causa, ma dà luogo alla responsabilità del locatore solo nel caso in cui lo stesso abbia assunto l'impegno di conseguire detti titoli, ovvero se il loro ottenimento sia reso definitivamente impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana - Presidente -

Dott. DI FLORIO Antonella - Consigliere -

Dott. DELL’UTRI Marco - rel. Consigliere -

Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere -

Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28577/2016 proposto da:

AUDITORIUM SERVICE SAS DI MASSIMO DELL'AQUILA & C SAS, in persona dell'Amministratore e legale rappresentante D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 158, presso lo studio dell'avvocato MARIA ANDRETTA, che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio G.G. in (OMISSIS);

- ricorrente -

contro

PROVINCIA ITALIANA DELLA CONGREGAZIONE DELLE PIE DISCEPOLE DEL DIVIN MAESTRO in persona della legale rappresentante pro tempore A.O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell'avvocato STEFANO DI MEO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PATRIZIA TOVAZZI giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1722/2016 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 31/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto de ricorso;

udito l'Avvocato MARIA ANDRETTA;

udito l'Avvocato STEFANO DI MEO e TOVAZZI PATRIZIA.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza resa in data 20/10/2016, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento delle domande proposte dalla Provincia Italiana della Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro, ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione a uso di attività alberghiera concluso dalla Congregazione attrice con l'Auditorium Service s.a.s. di M.d. & C., per inadempimento di quest'ultima quale conduttrice, con la condanna dell'Auditorium Service al pagamento dei canoni di locazione non corrisposti.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli accordi conclusi tra le parti, la società conduttrice avesse assunto l'impegno di provvedere, integralmente in proprio, alla manutenzione, tanto ordinaria quanto straordinaria, dell'immobile assunto in locazione, anche al fine di renderlo adatto all'uso aziendale convenuto, residuando, a carico della Congregazione, i soli interventi necessari al fine di garantire la sicurezza strutturale riferita alla stabilità dell'edificio.

3. Nel caso di specie, avendo le parti espressamente e consapevolmente concordato in tal modo le questioni concernenti i problemi relativi allo stato di conservazione del complesso immobiliare concesso in locazione (accordo da ritenersi comprensivo della realizzazione delle opere necessarie all'allaccio degli scarichi delle acque reflue alla fognatura pubblica, al fine di ottenere l'autorizzazione all'esercizio dell'attività imprenditoriale della società conduttrice), non essendosi nella specie in presenza di un quadro di degrado tale da presentare seri pregiudizi per la stabilità del fabbricato, nè di vizi occulti tali da rendere l'immobile inidoneo all'uso pattuito, doveva ritenersi escluso alcun profilo di inadempimento dell'ente locatore, con la conseguente insussistenza di alcuna giustificazione dell'inadempimento della società conduttrice in relazione al mancato integrale pagamento dei canoni dovuti.

4. Avverso la sentenza d'appello, l'Auditorium Service s.a.s. di M.D. & C. propone ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d'impugnazione.

5. La Provincia Italiana della Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro resiste con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 161, 276, 420, 437, 447-bis c.p.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale pronunciato la sentenza impugnata (mediante lettura del dispositivo in udienza) per mezzo di un collegio diverso da quello indicato nell'intestazione della motivazione successivamente depositata.

2. Il motivo è infondato.

3. Osserva il Collegio come, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, nel rito del lavoro (quale quello nella specie osservato), quando risulti accertata la reale composizione del collegio per la coincidenza tra l'intestazione del verbale di udienza e il dispositivo letto nella medesima, si deve ritenere, fino a querela di falso, che la sentenza sia stata deliberata da quegli stessi giudici che hanno partecipato alla discussione (Sez. L, Sentenza n. 20463 del 29/09/2014 (Rv. 632625-01).

4. A tale riguardo, è appena il caso di richiamare il principio, del tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la particolare struttura del processo del lavoro, che assegna speciale e autonoma rilevanza, anche ai fini esecutivi, alla lettura in udienza del dispositivo della sentenza, comporta che, in una controversia soggetta al rito anzidetto, al fine di stabilire se la decisione sia stata ritualmente deliberata e se, in particolare, ad essa abbiano partecipato tutti i componenti del collegio, nonchè se questi siano gli stessi giudici che hanno partecipato all'udienza di discussione, deve farsi riferimento, più che al testo della sentenza completo di motivazione, al dispositivo come deliberato e letto in udienza, risolvendosi eventuali contrasti e omissioni con la necessaria prevalenza delle risultanze del fascicolo d'ufficio riguardanti la pronuncia del dispositivo.

5. Pertanto, non è causa di nullità, ma di mero errore materiale (emendabile a norma degli artt. 287 e 288 c.p.c.), l'erronea indicazione, nell'intestazione della sentenza successivamente depositata e sottoscritta dal Presidente estensore, di uno degli altri due componenti del collegio che alla stregua delle risultanze del fascicolo d'ufficio - e, in particolare, del verbale dell'udienza di discussione deliberò la sentenza stessa e diede lettura del relativo dispositivo (cfr. Sez. L, Sentenza n. 10575 del 05/11/1990, Rv. 469599-01).

6. Nel caso di specie, l'odierna società ricorrente, lungi dal contestare la coincidenza tra l'intestazione del verbale di udienza e il dispositivo letto nella medesima udienza (e dunque la coincidenza - presunta fino a querela di falso - tra i giudici che hanno partecipato alla discussione e quelli che hanno deliberato la decisione), si è limitata a denunciare la mera difformità tra il collegio ch'ebbe a pronunciare la sentenza impugnata (mediante lettura del dispositivo in udienza) e quello indicato nell'intestazione della motivazione successivamente depositata, in tal modo configurando, la censura sollevata, alla stregua di un mero rilievo di errore materiale.

7. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1325-1326 c.c. e segg., artt. 1350, 1362-1363 c.c. e segg., artt. 1372, 1418 c.c. e segg., artt. 1571, 1575-1576 c.c. e segg. e artt. 1460 c.c. e segg., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della società conduttrice, nonostante fosse chiaramente risultata l'impossibilità di utilizzare o di destinare l'immobile locato all'attività alberghiera convenuta tra le parti, oltre che l'inidoneità dell'immobile locato all'uso contrattualmente previsto (in relazione ai problemi concernenti la staticità e l'impianto fognario della struttura concesso in locazione), con la conseguente erroneità del mancato rilievo della nullità del contratto per difetto dei relativi requisiti strutturali (e, in primo luogo, della causa), oltre che dell'interpretazione della volontà delle parti in violazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale, e della valutazione degli elementi di prova proposti dalle parti.

8. Il motivo è infondato, e il relativo esame fornisce l'occasione per l'indicazione di talune opportune precisazioni in relazione ai principi della giurisprudenza di legittimità consolidatisi nella materia delle locazioni ad uso diverso da quello di abitazione.

9. Osserva in primo luogo il Collegio come debba escludersi la nullità del contratto di locazione a uso diverso da abitazione per l'assenza o il difetto del requisito causale, là dove il bene concesso in godimento venga ritenuto inidoneo all'uso pattuito in ragione dell'impossibilità di ottenere i provvedimenti o i titoli amministrativi, autorizzativi o abilitativi, per l'esercizio dell'attività imprenditoriale dedotta in contratto.

10. Al riguardo, la nullità del contratto per difetto di causa può essere ravvisata nei soli casi in cui l'ordinamento proibisce in modo espresso e diretto un determinato uso del bene concesso in locazione, attraverso un intervento legislativo che incida in modo immediato e mirato sulla conformazione giuridica del diritto di proprietà del locatore (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 11964 del 16/05/2013, Rv. 626211-01 e in motivazione).

11. Viceversa, nel diverso caso - assimilabile a quello di specie in cui il bene concesso in godimento non risulti utilizzabile per il mancato ottenimento dei titoli amministrativi abilitativi, occorrerà ragionare sul piano dei reciproci obblighi contrattualmente assunti dalle parti e, conseguentemente, sul terreno delle responsabilità dell'una o dell'altra parte per l'inadempimento delle obbligazioni contratte.

12. Su tale specifico punto, la giurisprudenza di questa Corte, pur a seguito di talune oscillazioni nel tempo, si è da ultimo attestata nell'affermazione del principio in forza del quale il locatore è chiamato a rispondere del mancato conseguimento dei titoli amministrativi e/o abilitativi per l'esercizio dell'attività dedotta in contratto esclusivamente nel caso in cui abbia espressamente assunto l'impegno di conseguire detti titoli, ovvero nel (solo) caso in cui il conseguimento di tali titoli debba ritenersi totalmente e definitivamente impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento (Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014, Rv. 631823-01; Sez. 3, Sentenza n. 26907 del 19/12/2014, Rv. 633840-01; Sez. 3, Sentenza n. 666 del 18/01/2016, Rv. 638364-01; Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016, Rv. 641148-01).

13. Da tanto consegue che, ove i titoli abilitativi di carattere amministrativo siano conseguibili attraverso il compimento di talune opere di modificazione o di trasformazione del bene, e il locatore non abbia espressamente assunto l'impegno di compiere tali opere, le stesse saranno totalmente a carico del conduttore che ne assume l'onere, non potendo chiamarne a rispondere il locatore.

14. Quanto, infine, alla disciplina dei vizi occulti della cosa locata, ai sensi dell'art. 1578 c.c., il conduttore ha diritto a chiedere la risoluzione del contratto, o la riduzione del corrispettivo, là dove la cosa locata sia affetta da vizi che ne diminuiscano in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, mentre il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati dai vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna.

15. Ciò posto, nel caso di specie, non essendo emerso che l'immobile concesso in locazione fosse colpito da alcuna espressa e diretta proibizione legale in ordine alla relativa destinazione ad attività alberghiera, ed escluso altresì, secondo quanto ritenuto dalla corte d'appello (sulla base degli elementi istruttori analizzati), che si vertesse in un caso di vizi occulti tali da rendere l'immobile inidoneo all'uso pattuito (al punto che le parti avevano contrattualmente regolato l'attribuzione, a totale carico della società conduttrice, di tutti gli interventi di ristrutturazione diversi da quelli imposti dai rischi inerenti la stabilità del fabbricato: pag. 5 della sentenza impugnata), preso atto dell'assenza di un quadro di degrado tale da presentare seri pregiudizi alla stabilità del fabbricato (con la conseguente inoperatività della previsione contrattuale in forza della quale il locatore avrebbe dovuto provvedere al compimento delle opere concernenti la sicurezza e la stabilità del fabbricato), del tutto correttamente la corte territoriale ha evidenziato come il locatore non potesse ritenersi responsabile di alcun inadempimento, non essendo emerso, nè l'impossibilità totale e definitiva di conseguire i titoli abilitativi all'esercizio dell'attività alberghiera all'interno dell'immobile in esame (salvo il compimento delle necessarie opere di adeguamento, ordinarie o straordinarie, che, tuttavia, la società conduttrice aveva interamente assunto a proprio carico), nè l'esistenza di impegni del locatore diretti all'assunzione di opere necessarie a consentire il conseguimento dei detti titoli abilitativi, al di fuori di quelli concernenti la stabilità del fabbricato: ipotesi, quest'ultima, espressamente esclusa dalla corte territoriale sulla base della considerazione e dell'apprezzamento discrezionale degli elementi di prova complessivamente acquisiti.

16. Le considerazioni che precedono valgono ad attestare l'integrale correttezza della motivazione dettata dal giudice a quo in relazione ai principi di diritto concernenti la disciplina del contratto di locazione ad uso non abitativo, non essendo la corte territoriale neppure incorsa nella violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di governo dei mezzi di prova, trattandosi, con riguardo alle corrispondenti doglianze della ricorrente, di censure che nel caso di specie incidono sugli ambiti della legittima esplicazione dei poteri di valutazione discrezionale del giudice di merito (come tali sottratti alla competenza del giudice di legittimità) ove non correttamente dedotte (come nel caso di specie) in relazione all'eventuale violazione in iure dei principi che presiedono alla valutazione delle prove o dell'interpretazione della volontà negoziale delle parti.

17. Con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1571 c.c. e segg., artt. 1453 c.c. e segg., artt. 1460, 1697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che dalla documentazione acquisita al giudizio era emersa l'accettazione, da parte della società conduttrice, dell'immobile locato nelle condizioni in cui si trovava al momento della stipulazione del contratto, e che lo stesso non presentava alcun vizio occulto o alcuna inidoneità all'uso convenuto tra le parti, con la conseguente violazione dei principi in tema di governo delle prove e della relativa valutazione.

18. Il motivo è infondato, quando non inammissibile.

19. Preliminarmente, osserva il Collegio come debba rilevarsi la radicale inammissibilità delle doglianze avanzate dalla società ricorrente con riguardo ai pretesi errori in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell'interpretazione degli elementi di prova (documentale e/o tecnica) che, a dire della ricorrente, avrebbero attestato l'accettazione, da parte della società conduttrice, dell'immobile locato nelle condizioni in cui si trovava al momento della stipulazione del contratto e l'effettiva pericolosità dell'immobile, in ragione delle relative carenze statiche, e la relativa inutilizzabilità in ragione della condizione delle fognature.

20. Sul punto, è appena il caso di rilevare come, con il motivo in esame, la ricorrente - lungi dal denunciare l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate - alleghi un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente, la società ricorrente, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

21. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell'epigrafe del motivo d'impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l'ubi consistam delle censure sollevate dall'odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell'interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti.

22. Si tratta, come appare manifesto, di un'argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

23. Ciò posto, il motivo d'impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall'art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

24. Per altro vero, varrà rilevare come al caso di specie debba trovare applicazione il principio, già in altra occasione sancito dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, nel caso in cui il conduttore abbia in contratto riconosciuto il bene locato idoneo all'uso pattuito e abbia espressamente esonerato il locatore da ogni inadempienza (con il solo residuale limite, nel caso di specie, delle questioni concernenti la sicurezza e la stabilità del fabbricato), è irrilevante la sussistenza di vizi conosciuti o conoscibili da parte dello stesso conduttore, atteso che, in tal caso, deve escludersi la risoluzione del contratto, essendo rimessa alla diligenza del conduttore la constatazione dei detti vizi e all'autonomia delle parti la valutazione dei vizi che non rendono impossibile il godimento del bene, essendo onere della parte conduttrice, consapevole del tipo di attività da esercitare nei locali e quindi del relativi sovraccarichi, accertarsi preventivamente che quell'attività sia compatibile con le strutture dell'edificio (ovvero pretendere in contratto specifiche garanzie in proposito dal locatore), non potendosi escludere che il conduttore ritenga di realizzare i suoi interessi assumendosi il rischio economico dell'eventuale riduzione dell'uso pattuito, ovvero accollandosi l'onere delle spese necessarie per adeguare l'immobile locato all'uso convenuto (v. Sez. 3, Sentenza n. 8303 del 31/03/2008, Rv. 602379-01; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 13841 del 09/06/2010, Rv. 613270-01).

25. Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso di esaminare in modo adeguato gli elementi di prova sottoposti alla valutazione del giudice di appello in relazione all'impianto di smaltimento dell'immobile locato e al relativo adeguamento alla normativa vigente 26. Il motivo è inammissibile.

27. Sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all'impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

28. Secondo l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d'inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall'altro chiama la corte di cassazione a verificare l'eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

29. Ciò posto, l'odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, non avendo la società ricorrente adeguatamente illustrato i profili di decisività del preteso omesso esame del fatto dedotto, avendo la corte territoriale comunque dettato una ratio decidendi specifica (non adeguatamente censurata, ed anzi corretta, secondo quanto in precedenza indicato) in relazione alla circostanza che l'impegno a svolgere tutti i lavori ordinari e straordinari di adeguamento del bene (ivi compresi quelli relativi agli scarichi nella fognatura pubblica) fossero comunque stati presi in carico dalla società conduttrice (a prescindere dall'eventuale idoneità degli scarichi esistenti a fini amministrativi in relazione all'eventuale destinazione dell'immobile), rendendo dunque irrilevante la sussistenza di vizi conosciuti o conoscibili da parte dello stesso conduttore.

30. Con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1578, 1580, 1584, 1585, 1453 c.c. e segg., artt. 1460, 1256, 1175, 1337 c.c. e segg., artt. 1375, 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la società conduttrice avesse omesso in modo ingiustificato il versamento del canone di locazione senza considerare che l'immobile concesso in godimento era viziato, inidoneo e privo della possibilità di destinazione all'attività alberghiera, con la conseguente erronea conduzione del giudizio relativo alla valutazione dei corrispettivi inadempimenti delle parti.

31. Con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1325-1326 c.c. e segg., artt. 1335, 1350, 1362-1363, 1372, 1571 c.c. e segg., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente accolto la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento della società conduttrice sulla base di un'incongrua valutazione degli elementi di prova concernenti l'intervenuto accordo tra le parti sulle sospensione del canone di locazione.

32. Entrambi i motivi sono inammissibili.

33. Osserva il Collegio come, attraverso le censure critiche articolate con i motivi d'impugnazione in esame, la società ricorrente si sia inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione.

34. Deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709).

35. Nella specie, la corte d'appello ha espressamente evidenziato le ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno della riconosciuta insussistenza di alcun inadempimento contrattuale della locatrice, anche attraverso l'interpretazione della struttura contrattuale e dello specifico contenuto degli impegni negoziali reciprocamente assunti dalle parti.

36. Si tratta di considerazioni che il giudice d'appello ha elaborato, nell'esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell'interpretazione e di congruità dell'argomentazione, immuni da vizi d'indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla società ricorrente.

37. Con il settimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e segg., artt. 342-345 c.p.c.artt. 1578 e 2697 c.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente dichiarato l'inammissibilità di pretese nuove domande proposte in appello dalla società conduttrice, non essendosi verificata alcuna proposizione di domande nuove in sede d'appello da parte di quest'ultima.

38. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, quando non per difetto di specificità.

39. Al riguardo, osserva il Collegio come una volta accertata, ad opera del giudice a quo, l'insussistenza di alcun profilo di inadempimento della locatrice, ogni altra domanda della conduttrice (sia essa risolutoria, risarcitoria, o di altro tipo) deve ritenersi priva di alcuna riconoscibile prospettiva di accoglimento, non avendo peraltro la società ricorrente neppure specificato, in modo inequivoco, il tenore e/o il contenuto delle domande sulle quali la corte territoriale avrebbe asseritamente omesso di pronunciarsi.

40. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle doglianze avanzate dalla società ricorrente, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore della Congregazione controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

41. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.000,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2018


Avv. Francesco Botta

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